Il dottorato in filosofia tra Italia e Stati Uniti: considerazioni personali su similitudini e differenze
di Elena Bartolini
Elena Bartolini è assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, dove collabora come assistente per le cattedre di Filosofia Morale e Pratiche Filosofiche. Durante il dottorato ha trascorso un lungo periodo negli Stati Uniti, alla DePaul University. Il suo principale campo di ricerca è la filosofia antica. Nel 2015, ha pubblicato una monografia intitolata Per un’antropologia sistemica. Studi sul De Anima di Aristotele.
“Se siete interessati ad intrattenere rapporti col mondo accademico internazionale, questa è l’occasione perfetta e dovreste partecipare”: così suggeriva la mia tutor di dottorato nell’inoltrarmi una mail nel gennaio di quattro anni fa. Si trattava di una Summer School che si sarebbe svolta in Umbria quella stessa estate, nel mese di luglio, per tre settimane. Proprio il contesto internazionale di questo evento, così intenso e pieno di stimoli, mi ha spronata a scegliere l’inglese come lingua per redigere la mia tesi di dottorato. Nella medesima occasione ebbi modo di incontrare Sean Kirkland, professore presso la DePaul University di Chicago, che scoprii avere un dipartimento di filosofia decisamente promettente per il mio ambito di interesse. Decidere di scrivere una tesi di dottorato in una lingua diversa dalla propria non è una scelta semplice e comporta una serie di conseguenze importanti, sia a livello di ricerca (metodologia, referenze bibliografiche, comunità scientifica di riferimento) sia come impegno personale (per me a quel punto diventava imprescindibile trascorrere un lungo periodo in un altro Paese). Sebbene in Italia i dottorandi di tutte le università — e di tutte le discipline — siano incentivati ad aprirsi ad esperienze all’estero, non sempre vengono ben guidati nell’intricato percorso burocratico che porta al di fuori dei nostri confini.