DOI: 10.30443/POI2019-0013

Breve storia dell’ambiguità del concetto di lavoro

di Giuseppe Palermo

 

Come oggetto di riflessione, il lavoro si presenta in maniera sfuggente, addirittura contraddittoria, all’indagine filosofica. Questo aspetto, che giustifica il suo ritardo ad imporsi (in maniera più che banalmente tangenziale) alla speculazione, è evidenziato dalla stessa genesi linguistica del termine, e in generale dei termini corrispondenti nei lessici europei presi in considerazione da Antimo Negri nell’introduzione alla sua Filosofia del lavoro: labor esprime dunque, come sfumature non accessorie al significato di ‘lavoro’, concetti quali pena, sofferenza, dolore. Questa concezione, comune alle culture classiche, è icasticamente simboleggiata dalla dannazione successiva alla caduta dell’uomo di cui si racconta nel Genesi: «maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita»1, dove ‘dolore’ traduce labor, che fa da contraltare ai dolori del parto quale punizione della donna – concetti questi accomunati nella lingua spagnola dall’unico traducente trabajo e nel francese travail, che indicano il lavoro quanto il dolore del parto, o anche da alcune sfumature linguistiche che l’italiano assume per influenza di alcuni dialetti, come il siciliano.

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